Giovedì 24 luglio, le azioni di Chipotle, negli Usa, sono arrivate a perdere oltre il 12% in un solo giorno.
La catena di cibo messicana ha pubblicato una trimestrale deludente, relativa al periodo aprile-giugno 2025, con un calo delle vendite comparabili (cioè al netto delle nuove aperture) del 4%, dopo che già nel precedente trimestre erano scivolate dello 0,4%.
Ed è calato anche il traffico di persone nei ristoranti, a -4,9%. Così la società ha dovuto rivedere, ovviamente al ribasso, le previsioni di fine anno.
C’è molta attesa per la pubblicazione della seconda trimestrale dei big del fast food, che arriveranno ad agosto (il 6 agosto McDonald’s, il 7 agosto Restaurant Brands International, l’8 Wendy’s per citarne alcuni).
McDonald’s, con la prima trimestrale, aveva registrato un calo del -3,6% come vendite a parità di perimetro. E il titolo è sempre in altalena, da inizio anno. Benché, come mostra il grafico, sul lungo periodo si riveli un investimento vincente. Ma quel che interessa, più che la finanza, è l’attitudine dei consumatori.

Domino’s e Chili’s: le adv vanno oltre il super sconto
Nello stesso contesto, ci sono catene che invece hanno diffuso ottimi dati, con la seconda trimestrale. Una di queste è Domino’s pizza, che al contrario ha visto salire del 3,4% le vendite comparabili. Oppure c’è Chili’s, una catena che mostra lo stesso dato positivo da quattro trimestri di fila.
Secondo molti osservatori, i fast food tradizionali, da McDonald’s a Burger King passando per KFC, da oltre un anno solleticano i clienti con menu super scontati. Offerte entry level da pochi dollari, ma anche da poco cibo, che servono ad andare incontro al calo del potere d’acquisto dei consumatori.
Quel che emerge, però, è che il consumatore non sempre paga qualcosa che non desidera, solo perché costa poco. Piuttosto, rinuncia e mangia a casa. Mentre invece, è disposto a spendere qualcosa in più, a fronte di un’esperienza diversa.

Domino’s, durante la discussione dei dati, ha affermato di aver incrementato le vendite su tutte le fasce di reddito, comprese le più basse. La sua proposta, più cara del fast food, evidentemente dà la sensazione di una vera cena fuori. Non a caso, l’azienda aveva creato una campagna pubblicitaria anti “shrinkflation” per far vedere al consumatore che la sua pizza, pur rincarata, almeno non si era ridotta. E anzi, l’offerta era per una pizza più grande allo stesso prezzo. Non per un prezzo stracciato e meno prodotto.
Un’altra attività di marketing discussa è quella di Chili’s (gruppo Brinker), anche questo non un fast food, ma un casual dining. Il marchio prende di mira piuttosto apertamente McDonald’s, per esempio offrendo prodotti simili ad alcuni evergreen di Bic Mac, a partire dal famoso “quarter pound”.

Nelle promozioni, però, non dice che il suo prodotto costa meno, al contrario. Sottolinea come, per pochi dollari in più, la proposta sia vantaggiosa, come quantità, qualità ed esperienza al ristorante. Ecco il concetto di value for money. E pare che finora stia funzionando.
I paragoni con mercati distanti ed enormi, come quello americano, possono essere fuorvianti. Ma senz’altro forniscono spunti utili per cercare di interpretare le abitudini di consumo, anche a casa nostra.